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LA BELLEZZA

giovedì 4 maggio 2017

"Lui era mio padre" di Joann Sfar. Edizioni Clichy.



Quanto, dei nostri genitori, c’è in noi?
Quanto influisce la loro vita sulla nostra?
Quanto influisce – invece – la loro morte sulla nostra esistenza?
Joann Sfar [1]ci racconta quella parte di vita vissuta con i suoi genitori e – soprattutto – quella parte di vita dalla morte della madre – prima – e del padre, dopo. Pensieri “a briglie sciolte”, ricordi alla rinfusa per sottolineare quella confusione che regna nella mente di un figlio alla scomparsa delle linee guida che hanno segnato la sua vita. Smarrimento. Una sensazione che percepiamo “palpabile” tra le righe. La scrittura come catarsi. Scrivere diventa un modo per rendere “visibili” le proprie considerazioni mettendole su carta, nella speranza di dar loro un ordine, di trovare un appiglio per andare avanti senza soffrire troppo. La scrittura usata per dar corpo e peso alle anime. Periodi brevi, incisivi. Termini secchi, asciutti, diretti. Capitoli altrettanto brevi mostrano al lettore un “album” di ricordi fatto di tante istantanee. Rivalutare la propria esistenza in funzione di quella dei propri genitori. Perché – in fondo – chi siamo noi, se non il prodotto dei nostri genitori? un libro per renderci conto di quanto un figlio somigli a un padre e di quanto – allo stesso tempo – se ne discosti. Un libro che ci fa capire l’importanza di trovare sia dei punti di contatto coi nostri genitori sia qualcosa per cui non possiamo confrontarci con loro; una materia in cui essi non siano ferrati, ma noi sì, per poter recidere quel cordone ombelicale che ci lega a loro e imparare a camminare con le nostre gambe.
“La mia singolarità è nata in montagna, quando è morta mia madre. Non credo che avrei disegnato se mia madre fosse rimasta in vita, sicuramente non avrei neanche consacrato la mia vita a raccontare storie. Mi è piaciuto molto essere orfano. Mi ha fatto confrontare col mondo molto presto. Mentre gli altri coglioni aspettavano ancora che Dio gli regalasse delle ruote per la bicicletta, io stavo in piedi come uno strano adulto di tre anni e mezzo. Al contrario, la morte di mio padre mi rende banale. Alla fine probabilmente verrò capito perché quest’opera racconta il conflitto più comune che esista: sopravvivere al proprio padre e accorgersi, talvolta con orrore, di somigliargli”.
“Ho avuto fortuna a trovare il disegno, perché è l’unico campo della mia esistenza in cui mio padre non aveva esperienza e su cui non aveva un’opinione. Non si è mai opposto. Mi ha incoraggiato quando serviva, perché vedeva che mi rendeva felice, ma non ne sapeva nulla”.
Un libro che ci mostra quanta umanità si possa celare dietro alla figura di un padre che è sempre stato considerato alla stregua di un invincibile “supereroe”. Assistere al crollo di un padre che rappresentava un mito e scorgere nei suoi occhi e nelle sue parole la paura; paura non tanto della morte in sé, quanto della sofferenza e del dolore che spesso le si celano dietro.
 Ecco – dunque – che questo libro nasce con l’intento di raccontare una vita, ma – alla fine – ne racconta ben tre: quella di una madre, quella di un padre e quella di un figlio che – raccontando i propri genitori – finisce per raccontare sé stesso e il proprio dolore per la perdita subita.
“Ecco cosa accade quando si perde il padre: non si ha più nessuno da sbalordire. […] Chi posso trovare da sbalordire, alla sua altezza?”
“Ecco cosa mi manca del decesso di mio padre: non riesco più ad aver paura di nessuno”.
Un libro per arrivare ad ammettere che dai “duelli” con suo padre imparava sempre qualcosa. Un libro per accorgersi che è un’impresa troppo dura – se non impossibile – quella di mettersi alla ricerca di un’altra figura di riferimento da cui apprendere nuove cose. Perché – nonostante le sregolatezze e la dissolutezza - André ha cresciuto Joann trasmettendogli “come regole di condotta il rispetto dei doveri e il culto dell’onore”. Perché un figlio inizia dove il proprio padre finisce e la libertà dell’uno dipende da quella dell’altro.
“E finisce tutto quando non trovi più nessuno in grado di sparare più veloce di te”.
“Non combatto più con nessuno, perché mio padre non c’è più”.
Quando i nostri genitori sono in vita, facciamo di tutto per renderli orgogliosi di noi, ma una volta scomparsi loro…
“Alla fine io e mio padre abbiamo combattuto molto poco. Credo che la guerra sia come il sesso, bisogna praticarla poco per poterne parlare con piacere”.
In tutto il libro traspaiono con insistenza le tematiche della religione e della Fede. Cosa significa essere un ebreo quando non hai deciso tu di esserlo? Cosa significa vivere nel mondo dell’ebraismo quando non sai neanche se possiedi la Fede? Dio è una superstizione o ci assiste realmente? La religione può rappresentare davvero un utile mezzo di conforto o è – invece – soltanto una magra consolazione? Può – la morte di coloro che amiamo – aprire i nostri cuori a Dio?
Un libro intenso. Un libro che si legge tutto d’un fiato. Un libro che – una volta terminato – non si dimentica tanto facilmente.




[1] Joann Sfar: nato a Nizza nel 1971. Esplode come autore di fumetti già a 23 anni, e si impone come uno dei più grandi autori della bande dessinée con opere come Il gatto del rabbino, Professor Bell e Piccolo Vampiro. E’ autore anche del romanzo L’eterno (Rizzoli, 2014) e di romanzi illustrati come Se Dio esiste. In Italia i suoi fumetti sono stati pubblicati da Rizzoli Lizard, Bompiani, Coconino, Edizioni BD, 001 Edizioni, Orecchio Acerbo, Kappa Edizioni. Nel 2010 ha diretto il film Gainsbourg. Vie héroique, che si è aggiudicato il Prix César come miglior film.

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